Gino Paoli e il tentato suicidio: «Mi sparai. Un anno prima avevo perso il mio amico fraterno»

Gino Paoli, in un estratto della sua autobiografia “Cosa farò da grande“, scritta in collaborazione con Daniele Bresciani e in uscita il 2 novembre, riflette su alcuni momenti cruciali della sua vita, come la morte del suo migliore amico e il tentato suicidio.

In quel periodo avevo tutto: successo, denaro, la casa più bella di Genova, e le due donne più affascinanti d’Italia erano innamorate di me.

Sapore di sale era appena uscita ed era in vetta a tutte le classifiche. Forse, per un ragazzo di meno di trent’anni, era troppo. Avevo tutto, sì, ma non provavo più nulla. Sono state fatte mille ipotesi per spiegare cosa fosse successo: la più diffusa riguardava le donne.

Ero sposato con Anna, la mia prima moglie, avevo avuto una relazione passionale con Ornella Vanoni e stavo vivendo un amore travolgente con Stefania Sandrelli.

Tuttavia, il mio caro amico Arnaldo Bagnasco, giornalista e brillante autore televisivo, crede che il mio gesto sia stato dovuto all’incidente dell’anno precedente, il 20 settembre, che non riuscivo a perdonarmi.

Quella notte, Arnaldo era con me, insieme a tre amici: Giulio Frezza, Giovanni Battista delle Piane, detto Ruccoli, e Victor Van der Faber, che chiamavamo Pitt. Eravamo fratelli d’anima. Io ero alla guida, con Arnaldo accanto, mentre gli altri tre erano seduti dietro. Alcuni si addormentarono, ma Arnaldo ed io restammo svegli a chiacchierare.

Non mi pesava guidare, dato lo stile di vita che facevo. Improvvisamente, ci trovammo dietro a un camion che procedeva molto lentamente. Decisi di sorpassarlo, ma nel momento in cui mi spostai, vidi due fari avvicinarsi velocemente: era un’Alfa Romeo Giulietta.

Frenai e sterzai per tornare in carreggiata, ma tutto accadde troppo in fretta. L’ultima cosa che sentii fu la voce di Pitt che gridava: ‘Attento, Gino!’ Il tempo sembrò accelerare e poi avvitarsi su se stesso. Persi il controllo. Anche l’Alfa sterzò, ma ormai l’impatto era inevitabile

Ricorda così il momento in cui tentò di suicidarsi:

Provo con i barbiturici, il Nembutal, annaffiati con il calvados, ma non mi fanno niente. Penso di gettarmi di sotto; ma non voglio dare a mia madre il dolore di vedere un figlio straziato.
Mi ricordo di avere due pistole.
Faccio le prove sparando con la Derringer calibro 5 dentro un libro bello spesso, e vedo che il proiettile entra in profondità.
Così mi corico sul letto, e mi sparo. Non alla testa, sempre per non dare quel dolore a mia madre. Al cuore. Il proiettile si fermò nel pericardio. È ancora là, e mi tiene compagnia; ha anche smesso di suonare al metal detector.

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Meglio così. Ogni volta spiegavo: ho una pallottola nel cuore. E nessuno mi credeva. Ho una foto con Rita Pavone e Teddy Reno al mio capezzale. Ornella passò di notte, per non dare nell’occhio. Nel corridoio Luigi Tenco ripeteva sconsolato: non si fanno queste cose…

l suicidio di Luigi Tenco: “Come se volesse imitare me”

Tre anni più tardo fu Tenco a provare, riuscendoci, a togliersi la vita. I due cantautori sono stati legati a lungo da una profonda amicizia, interrottasi quando Paoli scoprì il tradimento del collega con Stefania Sandrelli.

“Luigi mi telefonò: ‘Sono a letto con Stefania’. La presi malissimo e ruppi con entrambi. Se non l’avessi fatto, lui sarebbe ancora vivo. Quella sua telefonata non nasceva da una vanteria maschile, ma da un senso di protezione.

Tenco era legatissimo alla mia prima moglie, Anna. Era il suo modo di dirmi che Stefania non era la donna giusta per me”.
“Lui e io ci siamo fatti l’immagine di poeti maledetti perché nei locali, anziché corteggiare le ragazze, ci mettevamo in un angolo immusoniti e tenebrosi, alla James Dean, con il pugno sulla tempia. Così le ragazze arrivavano. Non ho mai corteggiato una donna; erano loro a venire da me. In realtà Luigi Tenco era un gigantesco cazzone. Divertentissimo. Adorava gli scherzi. Il suo preferito era quello della cravatta: si avvicinava sorridendo, ti poggiava una mano sulla spalla, ti faceva parlare, e intanto con le forbici ti tagliava la cravatta. Una volta, dopo aver visto un film su un suicidio, rifacemmo la scena madre su un tetto di Genova: io fingevo di volermi gettare di sotto, lui di trattenermi. Dovemmo smettere perché si era creata una folla in attesa…”.

Riguardo al suicidio di Tenco:

Un colpo di teatro non riuscito. Come se avesse voluto imitare me: spararsi, e restare vivo. Andava molto una droga arrivata dalla Svezia, il Pronox, che ti dava un senso di sdoppiamento, come se non fossi più responsabile di te stesso… Appena arrivò la notizia mi precipitai a Sanremo. Il festival andava fermato; e se fossi stato in gara sarei riuscito a fermarlo. Incontrai Lucio Dalla, e lo attaccai al muro. Avrebbe dovuto ritirarsi. Tanto più che la sua canzone si intitolava “Bisogna saper perdere”. E tanto più che tutti collegavano Lucio a me

Fonte immagine: Instagram

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